L’opportunità di assegnare pienamente ai genitori la scelta sul cognome da attribuire al figlio riconosciuto da entrambi, rappresenta tuttora una questione piuttosto delicata, a causa di un affrancamento mai formalmente realizzato, dai retaggi di un patriarcato ormai vetusto.
In particolare, la possibilità per la madre di dare al figlio il proprio cognome è stata spesso oggetto di dispute giudiziali, nelle quali ha avuto modo di pronunciarsi anche la Corte Costituzionale.
Quest’ultima infatti, con la sentenza n. 286 del 21.12.2016, aveva già dichiarato costituzionalmente illegittime le norme del codice civile che, di fatto, sottraevano ai coniugi di comune accordo, la facoltà di trasmettere all’atto di nascita ai figli, anche il cognome della madre.
Invero, il Giudice delle Leggi, così pronunciandosi, aveva considerato la trasmissione del solo cognome paterno come un retaggio che, pur riconducibile all’intento di salvaguardare l’unità domestica, mal si coniugava con una società civile (e familiare), fondata sull’uguaglianza e sulla parità di genere e che, pertanto, pregiudicava irrimediabilmente il diritto ad un’identità personale del minore.
Recentemente, tale questione è tornata alla ribalta a causa del giudizio promosso dinanzi al Tribunale di Bolzano da una coppia non unita in matrimonio, che alla nascita della propria figlia, aveva concordemente deciso di attribuirle il solo cognome materno.
Il Tribunale trentino, interpellato dal Pubblico Ministero che aveva impugnato l’atto di nascita, ha ben ritenuto di investire la Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 262 co.1 c.c., il quale prescrive espressamente la trasmissione del solo cognome del padre al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori.
A tal proposito, appare opportuno rilevare, come il Giudice delle Leggi abbia immediatamente ritenuto fondate le rimostranze eccepite, riconoscendo già in sede preliminare che, contrariamente a quanto auspicato, le proprie innumerevoli pronunce non avevano sortito l’effetto di modificare una disciplina ormai vetusta, in favore di una nuova in grado di conciliare il trattamento paritario delle posizioni giuridiche soggettive dei genitori, con il diritto all’identità personale del figlio.

Pertanto, non resta che attendere la pronuncia definitiva della Consulta per verificare in quali termini la dottrina e la giurisprudenza contemporanee potranno mostrarsi attente e sensibili alla necessità di cambiamento e di “emancipazione” della società moderna, prendendo, auspicabilmente, le distanze da un’ideologia patriarcale, ormai superata.

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Redatto a cura della Dott.ssa Maria Chiara Mirabelli e dell’Avv. Valeria Palumbo.