L’emergenza sanitaria scaturita dalla inarrestabile diffusione del Covid-19, ha sicuramente intaccato ogni aspetto della società moderna, non mancando di esercitare i suoi effetti sui rapporti più strettamente patrimoniali ed economici e facendo emergere la necessità di un correttivo funzionale alla gestione delle sopravvenienze, al fine di evitare epiloghi contrattuali sgradevoli e definitivi.

Il principio espresso dall’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione in base alla relazione 56/2020, è quello secondo cui, i contratti debbano essere rigidamente rispettati nella loro formulazione originale, nella sola misura in cui rimangano inalterati i presupposti e le condizioni di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula. Contrariamente, ogni qual volta una sopravvenienza, intesa come circostanza estranea alla sfera di controllo delle parti, tale da pregiudicare nella fase di esecuzione del contratto, l’originario equilibrio negoziale, modifichi le necessarie premesse, la parte danneggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni alla base del rapporto negoziale.

Il rimedio della rinegoziazione, assolve proprio alla necessità di adattare le nuove esigenze delle parti contrattuali, modificate in conseguenza delle limitazioni globalmente imposte a causa della pandemia da Coronavirus, agli interessi originariamente espressi dai contraenti, al fine di conservare il rapporto negoziale, evitandone la caducazione.

A tal proposito, la giurisprudenza italiana, si è spesso occupata del problema relativo alla sussistenza o meno di un vero e proprio obbligo di modificare il contratto, senza tuttavia approdare ad un’impostazione sistematica cristallizzata, a fronte della spiccata sensibilità con cui tale tematica è invece affrontata in ambito sovranazionale. Si evidenziano difatti, i c.d. Principi Unidroit, che al verificarsi di circostanze tali da comportare una sostanziale alterazione dell’equilibrio del rapporto contrattuale, attribuiscono alla parte svantaggiata il diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto, al fine di ripristinare l’originario equilibrio; i cc.dd. PECL (Principles of European Contract Law), che prevedono, accanto ad un obbligo di rinegoziazione, anche il potere del giudice di condannare al risarcimento del danno la parte che rifiuti la rinegoziazione, ovvero la conduca in maniera contraria a correttezza e buona fede; il Draft Code elaborato dalla commissione presso il Concilio Sociale ed Economico dell’Onu, che pone in capo alle parti un obbligo di revisione e di rinegoziazione del contratto secondo buona fede, in presenza di sopravvenienze e a prescindere dall’esistenza o meno di apposite clausole.

E’ nel panorama appena descritto, che si colloca il d.d.l. Senato n. 1151, recante la “Delega al Governo per la revisione del codice civile”. Il disegno di legge vorrebbe attribuire all’Esecutivo il potere di integrare o modificare il codice civile, positivizzando, fra l’altro, “il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta tra le parti”.

Alla luce di tali argomentazioni, sembrerebbe che la risposta all’esigenza manutentiva dei negozi giuridici e di rinegoziazione necessaria del loro contenuto, vada ritrovata nell’attuale diritto dei contratti, riletto alla luce del principio di solidarietà e rinnovato in un’ottica costituzionalmente orientata, attraverso la clausola della buona fede, che di quel principio è il portato codicistico.
Proprio i principi di correttezza e buona fede infatti, hanno la potenzialità, nel contesto dilaniato dalla pandemia, di assolvere alla funzione di salvaguardare il rapporto economico sottostante al contratto, prevedendo l’obbligo di esperire quanto meno, un tentativo di rinegoziazione dello stesso.

In conclusione, come chiaramente espresso dalla Corte di Cassazione, la conformazione di siffatto obbligo imporrebbe “di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo. Pertanto, la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto […]. Si avrà, per contro, inadempimento se la parte tenuta alla rinegoziazione si oppone in maniera assoluta e ingiustificata ad essa o si limita ad intavolare delle trattative di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo. L’inosservanza dell’obbligo in questione dunque, dimora nel rifiuto di intraprendere il confronto oppure nel condurre trattative maliziose”. (Massimario della Corte di Cassazione; Relazione 56/2020).

Pertanto l’obiettivo espresso dall’orientamento dell’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, in base alla relazione 56/2020 sulle «Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale», è proprio quello di tutelare adeguatamente le parti contrattuali, tenendo sempre presente il contesto emergenziale.

 

A cura dell’Avvocato Valeria Palumbo.

CategoryCivile, Contratti